La nuova toponomastica: Via Molino del Maglio
all’incrocio con l’odierna Via Molino dei Banditi, costeggia da un lato la ferrovia Biella-Santhià e dall’altro la roggia Molinara o Molinaria, e si dirige dopo aver superato un sovrappasso ferroviario la direzione di Via Santhià, cioè la S.P. Salussola-Santhià. Ma il perché di questo nome. Come abbiamo già scritto, la Via Molino del Maglio, non è altro che la vecchia Via Brianco, una via che conduce alla strada provinciale per la regione Brianco, e che per metà del suo tragitto costeggia la roggia Molinaria o Molinara. Anticamente questa strada, zona impervia e boscosa e adita alle imboscate dei banditi, conduceva anche alla cascina san Jore, alla Madonna del Brianco, rinomato luogo di un famoso mercato agricolo, a Cavaglià e a Santhià, e lungo il suo percorso, in territorio di Salussola, c’era un luogo di sosta e di stallaggio, individuabile oggi con il casale di Cavallo Rosso. Oggi la strada termina all’incrocio con Via Santhià, e per accedere alla cascina san Jore, benché questa sia ancora territorio di Salussola, bisogna andare nel Comune di Dorzano, passando dalla S.P. 143 Vercellese. La roggia Molinaria, che costeggia per un buon tratto la via, era alimentata dalle sorgive di regione Rifreddo e dalle acque del torrente Elvo fino ai movimenti alluvionali del 1968, e per quanto documentato, lungo il corso, che ne prese l’appellativo, sorsero fino a quattro mulini. Mulini che sotto l’impulso della forza idraulica diventarono piste o pesta da riso, piste o pesta da grano e granaglie, segherie, e l’ultimo che si occupava di grano e granaglie, era detto Molino Nuovo, solo perché era l’ultimo sorto in ordine di tempo. Uno dei mulini che sorsero lungo il percorso della roggia fu anche il “ Molino del Maglio “. Il maglio era una macchina che con la forza idraulica, l’acqua della roggia, metteva in movimento una mazza, detta anche maglio, che per semplice caduta esercitava un urto su un materiale, e il materiale che veniva schiacciato era lo zolfo. Lo zolfo, in quegli anni, era prevalentemente impiegato come anticrittogamico nella coltivazione della vite, molto fiorente sulle colline Salussolesi. Non solo veniva usato come anticrittogamico, ma anche come disinfettante dei vasi di conservazione del vino. “ Alla luna di dicembre il primo travaso, a marzo il secondo, da una botte ad un’altra, più piccola, per togliere il sedimento naturale depositato sul fondo. Le botti che venivano subito riutilizzate potevano essere pulite e semplicemente lavate, se invece non servivano più, oltre al lavoro di pulizia e di lavaggio, dovevano essere raschiate e preparate per conservarne la bontà, il gusto e l’aroma per la successiva annata. A questo fine venivano riempite con fumi di zolfo richiudendole ermeticamente, ripetendo questo trattamento ogni due tre mesi. Questa operazione era effettuata molto alla buona, bruciando lo zolfo in tegami di terracotta, ma se si voleva lavorare con più cura e attenzione si usavano i candelotti di zolfo dentro i bruciamiccie o l’apposito sulferet o fornello brucia zolfo da montare nel cocchiume “.