A fërvé ij gat a chito nen ëd gnaolé

12 febbraio san damiano12 febbraio – A fërvé ij gat a chito nen ëd gnaolé. A febbraio i gatti non smettono di miagolare, perché sono in calore.

Oggi la Chiesa ricorda san Damiano di Roma. Fara Novarese, centro situato lungo la strada che collega la Valsesia a Novara ai piedi della collina morenica che giunge fino a Briona, venera, con grande devozione, come suo santo patrono san Damiano. Le sue reliquie furono donate alla comunità dal sacerdote don Francesco Maria Solari, originario di Borgomanero e nipote del parroco di Fara don Marc’Antonio Solari, egli per qualche anno svolse il suo ministero pastorale come cappellano a servizio di don Francesco Marescotti. Successivamente, non si conosce con precisione per quale motivo, il sacerdote si trasferì a Roma dove, in due occasioni differenti, ricevette il dono di diverse reliquie di corpi santi, che furono poi da lui stesso destinati alla sua diocesi. Il 10 novembre 1647, su mandato del vescovo Alessandro Vittrizio, collaboratore del cardinal vicario dell’Urbe Ginetti, furono consegnate al Solari alcune reliquie e l’intero corpo santo di Damiano, provenienti, come anche quelle ricevute il 19 gennaio 1650 per mano del religioso cappuccino Fra Angelo da Borgomanero, dalla catacomba di Calepodio.Tutti i resti ossei furono fatti pervenire, il 14 febbraio 1650, alla curia diocesana di Novara per l’ufficiale riconoscimento canonico, che venne compiuto da Monsignor Gabriele Tornielli vicario generale del vescovo Antonio Tornielli, in vista della loro traslazione alla chiesa di Fara, cui per volontà di don Solari erano stati donati. La comunità provvide alla realizzazione di cinque cassette lignee adatte a contenere le reliquie che furono sistemate il 18 giugno del 1651, per opera di don Alessandro Pernati prefetto del capitolo della cattedrale; alla cerimonia era presente, oltre al donatore delle reliquie, anche una delegazione di Fara, composta dal parroco don Marescotti e da due rappresentanti laici della comunità: Antonio Porzio e Giovanni Antonio Arienta. Essi trasportarono poi i reliquiari in paese, dove furono collocati in una nicchia ricavata nel muro dell’altare laterale sinistro a fianco dell’altare maggiore, che mutò l’originaria dedicazione alle Sante Anna ed Agata, in quella dei Santi Martiri. Dopo quasi un secolo, durante il quale i fedeli locali iniziarono a nutrire una particolare devozione per le reliquie di Damiano, considerato compatrono accanto ai Santi Pietro, Fabiano e Sebastiano, si decise di comporre i resti in un’unica urna nella forma di un corpo umano, essendo tramontata l’usanza di separare il capo dal resto delle ossa come avveniva nel seicento, quando il cranio era considerato la reliquia più insigne rispetto a tutte le altre parti del corpo. Grazie all’intraprendenza del parroco don Ercole Poroli, nel 1743 si procedette alla ricognizione delle ossa che, ancora in buono stato di conservazione, furono ricomposte anatomicamente, rivestite con un abito dalla tipica foggia di soldato romano e sistemate nella nuova urna appositamente realizzata, come testimonia il verbale redatto il 2 luglio 1744 a conclusione delle operazioni, dal notaio Carlo Francesco Tettoni. Anche l’altare fu rinnovato a partire dall’anno successivo 1745 e fu inaugurato due anni dopo, con solenni festeggiamenti. Ben presto però si fece strada l’idea di costruire, secondo il gusto dell’epoca, un’apposita cappella dove collocare il corpo santo, da realizzare come scurolo sopraelevato su di un lato dell’edificio. I lavori, iniziati nel 1787, si conclusero nel 1801 e furono diretti da Giorgio Oldani di Viggiù, coadiuvato, per l’esecuzione della decorazione parietale e la realizzazione delle statue simboleggianti le virtù cristiane, dal novarese Gaudenzio Prinetti; l’anno successivo 1802 l’urna fu collocata nella cappella dove ancora oggi si può vedere. All’interno dell’urna, invece del ricorrente “vaso di sangue”, è collocata una lucerna di terracotta in ottimo stato di conservazione e proveniente, con molta probabilità, dal loculo catacombale in cui giacevano le spoglie di Damiano. La reliquia di Damiano venerata a Fara fu considerata appartenente all’omonimo santo di cui il Martirologio Romano, su indicazioni già presenti in alcune versioni di quello Geronimiano, fa memoria al 12 febbraio, ponendone il martirio generalmente in Africa o, in alcune versioni, più precisamente in Alessandria e presentandolo come un soldato martirizzato per la sua adesione alla fede cristiana.A prescindere dalla scarsità delle notizie che riguardano questo martire africano, non è testimoniato alcun suo legame con la catacomba romana di Calepodio, da cui proviene con sicurezza il santo in questione. Non offre validi dati storici nemmeno la storia della vita del santo presente nel Libro della Cavatta dal 1739 – 1760, scritta nel 1744 dal sacerdote Pietro Francesco de Comitibus, che si richiama alle tradizionali notizie raccolte negli Acta Sanctorum. Secondo il racconto, Damiano sarebbe stato un soldato romano di stanza in Africa al tempo del sovrano vandalo Trasemondo, per suo ordine martirizzato il 12 febbraio del 504, in un luogo non lontano da Cartagine. Il suo corpo, sepolto da altri cristiani, sarebbe poi stato traslato da “un comandante di corte” in Italia “dopo un lungo viaggio per terra e per mare” e deposto nella catacomba romana, dove venne poi recuperato e destinato alla chiesa di Fara. Non è possibile indicare su quali basi si giustifica un’eventuale traslazione delle sue reliquie a Roma, né dire con più precisione quando e per opera di chi questa sarebbe avvenuta; potrebbe trattarsi forse di uno dei tanti trasferimenti di reliquie, dal Nord Africa alla penisola italiana, compiuti proprio nell’età vandala, ma non se ne trova traccia nei testi antichi. Ugualmente, nella catacomba romana di Calepodio, non è stata ritrovata fino ad oggi qualche testimonianza che ricordi la presenza di una sepoltura venerata riferibile ad un martire di nome Damiano. E’ dunque necessario distinguere tra l’esistenza storica del santo martire africano e quella di un altro santo di nome, proprio o imposto, Damiano, appartenuto alla comunità cristiana di Roma del quali non si possiede alcuna notizia, se si eccettua la sua sepoltura nella catacomba di Calepodio. La comunità farese ha comunque avuto particolare venerazione nei confronti di Damiano, che tutt’ora festeggia due volte l’anno: il 12 febbraio, per l’identificazione di cui si è parlato e la prima domenica di luglio, in ricordo dell’arrivo della reliquia in paese. A scadenza periodica si tennero poi particolari festeggiamenti, che prevedevano anche la processione dell’urna per le strade del borgo: nel 1787, nel 1802, nel 1903 da cui si contarono i venticinque anni tradizionali che portarono a quelle del 1928, del 1953 e del 1978, l’ultima è avvenuta nell’agosto 2003. Anche nell’onomastica personale è evidente la devozione al santo, il cui nome fu imposto, ed in parte lo è ancora, a numerosi individui maschi del luogo. L’iconografia, per altro molto scarsa, ritrae il presunto martire in abiti da milite romano, come si può vedere nell’affresco sulla volta dello scurolo lui dedicato, su quella della navata centrale della chiesa o in altre produzioni della devozione popolare, come immagini o statue. E’ venerato a Fara Novarese il 12 febbraio e la prima domenica di luglio.

un proverbio, un santo – redazionale

SalussolaNews informa i Salussolesi dall'anno 2000

di Claudio Circolari; Blogger, Storico Locale, Fotografo Amatoriale; Collaboratore Parrocchiale; Volontario Sociale: Tutto a titolo gratuito, senza scopi di lucro, ma solo per fini sociali