I rapporti di Pietro Bolgaro con papa Gregorio Magno
I rapporti di Pietro Bolgaro con papa Gregorio Magno. Nel 577, il monaco benedettino Pietro della famiglia Bulgaro (o Bolgaro), una delle quattro nobili famiglie Vercellesi di baldacchino, venne nominato cardinale dal papa Benedetto I. Alla salita del soglio pontificio nel 590, uno dei primi atti di Papa Gregorio I, fu quello di ordinare Pietro suddiacono della Chiesa e nominarlo suo primo Vicario in Sicilia. Però Pietro rimase in Sicilia un solo anno, e nel 592 il Papa Gregorio lo richiamò a Roma. Ma non fu molto lungo il suo soggiorno a Roma, perché poco dopo dovette partire per la Campania con l’incarico di rappresentante del Pontefice e rettore del patrimonio che qui possedeva la Santa Sede. Nel 593, ordinato diacono, fu richiamato a Roma e qui rimase per sempre quale segretario privato del Papa Gregorio I. Il Papa Gregorio, dettava al suo segretario, oltre ad altre opere, l’immortale Libro dei dialoghi, ma pretendeva che rimanesse, scrivendo da lui separato da una tenda. Pietro pensava che questo era uno strano modo, ma ancor più strana, anzi prodigiosa, giudicava la rapidità con la quale il Papa Gregorio manifestava i suoi pensieri, così che faticava a trascriverli, quell’altezza di concetto che non era più fatta di sapienza umana, bensì animata da ispirazione divina. Un giorno, incuriosito scostò la tenda e rimase stupefatto, attorniato di luce, il Pontefice appariva assorto ad ascoltare il suggerimento di una bianca colomba, simbolo dello Spirito Santo. Pietro assistette, inosservato, più di una volta a tale visione. Il Papa, accortosi dell’indiscrezione del suo segretario, lo redarguì e si fece promettere di non dire ad alcuno quello che egli aveva visto. Il Papa Gregorio, in seguito ammalatosi gravemente, sciolse, prima di morire, dalla promessa il Levita, profetizzandogli che un giorno sarebbe stato necessario che egli rendesse testimonianza di ciò che aveva visto e che, a maggior certezza di questa testimonianza, dovesse essere colpito, dopo averla resa, da morte istantanea. Il Pontefice Gregorio Magno morì il 12 marzo del 604. Il suo successore fu il Papa Sabiniano da Volterra. In quegli anni Roma era afflitta da grandi carestie, la popolazione era esasperata, invocava dal Pontefice la salvezza, suggerendogli, su l’esempio di Gregorio Magno, di aprire l’erario pubblico e i granai della Chiesa e distribuire i presunti tesori ai poveri. ll Papa Sabiniano credette di non poter acconsentire e dichiarò che egli non intendeva acquistare il favore del popolo con impossibili elemosine, come già aveva fatto il suo antecessore, impoverendo così il patrimonio della Santa Sede. Queste parole, passando di bocca in bocca, si deformarono nel significato, il popolo si mise ad inveire contro il Pontefice scomparso nella stessa misura con la quale prima l’aveva esaltato. Tale era il furore che si giunse all’assurda proposta di bruciare pubblicamente tutte le sue opere, così che anche la memoria di lui andasse dispersa. Il Levita Pietro, angosciato, non disdegnò di scendere in piazza a parlare con gli inferociti Quiriti. Disse loro che effettuando tale minaccia, avrebbero commesso un grave sacrilegio, perché non solo avrebbero distrutto opere che racchiudevano tesori di sapienza, ma che tale sapienza era stata trafusa in Gregorio Magno dal diretto intervento dello Spirito Santo. Narrò a loro, che ascoltavano stupefatti e già alquanto placati, la mirabile visione e la profezia di San Gregorio. Quindi concluse: “ Il giorno 30 di questo mese (era l’aprile del 605) io salirò il pulpito della Basilica di San Pietro e, la mano sui Vangeli, giurerò pubblicamente e solennemente della verità di questa mia visione; se Iddio Signore in quel momento mi separerà l’anima dal corpo, sarà, questo, testimonianza della verità delle mie parole; quando, al contrario, mi vedeste, ciò che non sarà, restare in vita, voi gettate pure alle fiamme le opere del mio maestro ed amico e considerate me quale impostore ” . Il popolo si disperse commentando. ll giorno 30 aprile una gran folla si era radunata nella basilica e l’ora stabilita giunse il Levita Pietro. Pietro apre i Vangeli e posatavi la mano, la sua voce si scandisce nel gran silenzio, chiara e solenne, attestando con giuramento di avere contemplato più volte lo Spirito Santo sotto forma di colomba posarsi sopra il capo del Pontefice Gregorio Magno e suggerirgli la divina sapienza da dove sono diffuse le sue opere. Appena terminata questa testimonianza, il suo volto impallidì mortalmente e accasciatosi improvvisamente su se stesso, morì. Storiografi del secolo VIII e IX, quali Paolo e Giovanni Diacono, ad esempio, narrano ampiamente di questo fatto prodigioso. Il popolo a quella vista restò come folgorato, poi, quasi delirante, conclamò la santità del Papa Gregorio e del Levita Pietro. Subito a lui fu tributato quel culto medesimo che era reso a San Gregorio Magno, non pochi miracoli furono operati per intercessione dell’uno e dell’altro. Nel 1867 il canonico biellese, Davide Riccardi, afferma che, sin da quei primi tempi, il 30 aprile, anniversario della morte del Levita, divenne giorno a lui consacrato e che “ la pratica invalsa di dedicare un giorno alla sua memoria, perdurò nella romana liturgia molti secoli e conservossi lungamente anche dopo il trasporto delle sue reliquie da Roma a Vittimulo/Salussola ”. Il culto di questo Santo, sepolto presso la tomba di San Gregorio Magno nella basilica di San Pietro in Vaticano, s’estese in modo particolare nella Diocesi di Vercelli, e verso la fine del secolo VII, le sue reliquie vennero trafugate da Roma e trasportate a Vittimulo, dove fu eretta una chiesa. La prova che il Santo Pietro fu sepolto dapprima a Vittimulo è data da una Vita manoscritta del Santo, che doveva servire nelle ufficiature corali della cattedrale di Vercelli, risalente ai secoli XII – XIII, ma che per valore documentario può ascriversi alla fine del secolo XI o all’inizio del XII.
Gregorio (Roma 540 – 12 marzo 604 ), già prefetto di Roma, divenne monaco ed abate del monastero di Sant’Andrea sul Celio. Eletto papa, ricevette l’ordinazione episcopale il 3 settembre 590. Nonostante la malferma salute, esplicò una multiforme e intensa attività nel governo della Chiesa, nella sollecitudine caritativa, nell’azione missionaria. Autore e legislatore nel campo della liturgia e del canto sacro, elaborò un Sacramentario che porta il suo nome e costituisce il nucleo fondamentale del Messale Romano. Lasciò scritti di carattere pastorale, morale, omelie e spirituali, che formarono intere generazioni cristiane specialmente nel Medio Evo.
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