Prenotare al Cup è pressocché impossibile: la centralinista torinese ci racconta le dinamiche di un meccanismo che crea non poco scetticismo.
Il problema sanità in Piemonte – come d’altronde in tutta Italia – rimane uno dei punti più critici degli ultimi anni. La sanità pubblica c’è, in molti casi è gratuita, ma in pochi riescono realmente ad accedervi. Non molto tempo fa Le Iene hanno mandato in onda un servizio alquanto interessante, dove veniva mostrato come, in diverse regioni d’Italia, le liste d’attesa si protraessero per mesi, se non anni, pur trattandosi di richieste segnalate come urgenti. Una situazione comune, insomma, condita dalla chiusura – illegittima – delle stesse liste.

In quell’occasione Le Iene hanno spiegato agli stessi operatori del Cup come il cittadino possa avvalersi del servizio di tutela: una legge poco conosciuta che, se fatta valere, garantisce la visita al paziente entro la data stabilita. A costo che sia la sanità pubblica a pagare la visita privata, qualora non si riesca a trovare posto.
Ecco, in quel caso i posti, magicamente, spuntavano. Ma come è possibile? Per rispondere a questo quesito non c’è nulla di meglio che rivolgersi ai diretti interessati, o meglio, a chi di quel sistema è parte integrante.
Perché il Cup non trova posto? L’operatrice racconta la sua esperienza
Da diverso tempo si lavora sul software di prenotazione, il sistema che permette di accedere a una visita e trovare le disponibilità migliori. Tuttavia, come afferma Alice – nome di fantasia – “Io amo il Giappone e lì è pieno ovunque di meravigliosi e innovativi distributori automatici di cibo. Se nessuno li rifornisce di panini, restano solo quello che sono: scatole vuote”. Ma qualcuno li rifornisce, questi distributori, in Italia?

Alice, come riportato da torino.corriere.it, lavora al Cup da diversi anni, e oggi si occupa di tutta la regione Piemonte. Lavora quattro ore al giorno e, in quelle quattro ore, riceve circa 100 chiamate. Tuttavia, solo il 30-40% si conclude con una prenotazione. Trovare visite è più complesso quando si tratta di prestazioni semplici come oculistica o dermatologia.
La cosa strana? Al pomeriggio non vi è quasi mai uno slot libero. Il problema potrebbe essere a monte, poiché molti medici, nel pomeriggio, esercitano in regime privato. E qui si potrebbe aprire una parentesi, come il fatto che nessun medico voglia lavorare al pomeriggio (almeno in ospedale), oppure non ne vengano assunti abbastanza.
Ma i centralinisti, come afferma Alice, sono gli ultimi “soldati di fronte al nemico: siamo quelli che fanno il lavoro sporco senza conoscere la strategia alla base della nostra attività”. C’è anche chi lavora la domenica, per un servizio pressoché inutile, poiché “gli ospedali di certo non aggiornano le agende nel weekend; per cui, la percentuale di chi ci contatta e chiude la chiamata senza successo è molto più alta”, afferma.
E sempre i centralinisti non hanno modo di aiutare il paziente, poiché – come loro – non dispongono di alcun elemento aggiuntivo. Eppure, in giro per l’Italia ci sono stati operatori che il posto, dopo l’intrusione de Le Iene, l’hanno trovato. Colpa degli altri operatori? Assolutamente no. Qualche scheletro nell’armadio, ancora oggi, c’è.