Ci sono alcuni atteggiamenti che appaiono innocui sul posto di lavoro, ma in realtà possono portare al licenziamento, o addirittura alla denuncia.
Quando si lavora come dipendenti, la routine quotidiana si solidifica: si entra al lavoro, si svolgono le mansioni, si fa qualche chiacchiera e si prende un caffè. Tutte attività normali, che fanno parte della giornata tipo di ogni lavoratore medio, qualunque sia il suo impiego.

Tuttavia, come ogni cosa, il troppo stroppia. E quando alcune abitudini prendono il sopravvento, scattano le tutele per il datore di lavoro, che ha il compito di monitorare il lavoro dei dipendenti, nonché preservare l’immagine dell’azienda.
Certo, ciò non significa che il lavoratore manchi di professionalità o rispetto, ma se un collega dovesse far notare un atteggiamento frequente o lo stesso datore di lavoro lamentasse una lacuna, il rischio è che scatti il licenziamento per giusta causa – se non addirittura una denuncia. Qui entrano in gioco le pause caffè. Per quanto possa sembrare inusuale, diverse sentenze hanno dato ragione al datore di lavoro.
Quando un caffè può costarti il posto di lavoro – e una denuncia
Anche se non riguarda solo questo settore, per capire bene la questione basta riesumare il recente caso di Torino, quando i medici al bar con il camice hanno fatto scattare una vera e propria polemica. A finire sotto i riflettori non è stato un errore medico o un disservizio, ma una semplice tazzina di espresso. Anzi, a essere precisi, il modo in cui veniva bevuta.

A firmare la circolare è stato il commissario straordinario Thomas Schael, che ha deciso di vietare a medici e infermieri di accedere alle mense o ai bar interni se indossano camici o divise. Per motivi igienici, si legge. Ecco, il vero motivo, a detta di molti, è anche il decoro.
Per capirci: la pausa caffè non è vietata, ma ha dei limiti ben precisi. Secondo la normativa, è considerata legittima solo se rientra nell’orario previsto o viene correttamente timbrata. Altrimenti, può trasformarsi in assenteismo. E in certi casi, si finisce dritti in tribunale.
Il primo esempio arriva da un dipendente che si allontanava abitualmente per andare al bar, accumulando ritardi di oltre mezz’ora senza giustificazione. Il datore ha raccolto prove e l’ha licenziato per giusta causa. I giudici gli hanno dato ragione: quella pausa reiterata era diventata una violazione del contratto.
Ma c’è di più. In un altro caso, ben più grave, alcuni dipendenti pubblici uscivano a prendere il caffè senza timbrare. Il danno? Economico, perché in quel tempo risultavano ufficialmente al lavoro. Risultato: sono stati denunciati per truffa aggravata ai danni dello Stato. E qui non si parla più solo di licenziamento, ma di processo penale. Altro che espresso, è una bomba a orologeria.