Dopo la desertificazione bancaria e commerciale, in Piemonte si parlerà anche di quella dei punti nascita: vogliono chiuderli in diverse città.
La frase “in Italia non si fanno più figli” non è più solo un luogo comune, ma un dato di fatto. Se inizialmente il problema sembrava solo numerico, oggi sta diventando anche economico: i servizi per le nascite cominciano a non reggere più, perché sono sempre meno le persone che ne hanno bisogno. E così, quel “non si fanno più figli” si trasforma in “chi li fa, deve viaggiare”. Specialmente in Piemonte.

Un modo per evitare la chiusura dei punti nascita? Aumentare i parti. Sì, perché il Ministero della Salute – in accordo con l’OMS – ha fissato un obiettivo minimo: almeno 1000 parti l’anno per garantire la sostenibilità e la sicurezza di un reparto. Pochi, verrebbe da pensare. Ma il vero problema è che in Piemonte, in molte strutture, non si arriva nemmeno alla metà.
Ed è da qui che prende forma il nuovo piano sociosanitario che torna a parlare della possibile chiusura – peraltro prevista per legge – dei punti nascita con meno parti durante l’anno. Ci sono città potenzialmente a rischio.
Quali ospedali rischiano davvero: ecco dove i parti sono troppo pochi
In questa fase è doveroso parlare al condizionale, perché non esiste ancora un elenco ufficiale. Ma alcune strutture sanitarie del Piemonte sembrano già avere i numeri – purtroppo bassi – per rientrare tra quelle a rischio chiusura.

Secondo quanto riportato, gli ospedali con i reparti maternità più fragili sono quelli di Domodossola, Borgosesia, Carmagnola, Ceva, Savigliano, Venaria Reale e Ivrea. A questi si aggiungono anche Casale Monferrato e Acqui Terme, che al momento restano sotto osservazione, ma con numeri tutt’altro che rassicuranti.
Il parametro resta quello: almeno 1000 parti all’anno. Una soglia minima stabilita dal Ministero della Salute e condivisa con l’OMS, pensata per garantire standard di sicurezza e qualità nei servizi. Ma in molte di queste strutture si fatica ad arrivare a 400. E quando i numeri non ci sono, la sostenibilità economica salta, così come la possibilità di assicurare personale e attrezzature adeguate.
Va detto che nessuna chiusura è ancora stata decisa. Ma il messaggio che arriva dal nuovo piano sociosanitario è che senza numeri, il servizio non regge. E allora, si ragiona su accorpamenti, tagli, trasferimenti.
Una scelta che pesa, soprattutto nei territori più piccoli, dove ogni servizio che chiude è un pezzo di vita che se ne va. E dove partorire, oggi, rischia di voler dire mettersi in macchina e percorrere anche decine di chilometri.